Previdenza complementare e welfare aziendale
La previdenza complementare ha come obiettivo la creazione di una posizione pensionistica integrativa rispetto alla previdenza obbligatoria. Ecco cosa sapere.
In questo articolo troverai tutte le informazioni utili sulla previdenza complementare. Ti spiegheremo di cosa si tratta, quali sono le principali forme pensionistiche integrative alle quali è possibile aderire, come funziona il welfare aziendale in caso di conversione del premio di produzione in previdenza complementare e tutto ciò che è importante sapere in modo da poter pianificare in maniera consapevole e al meglio il tuo futuro previdenziale.
Che cosa si intende per previdenza complementare
La previdenza complementare rappresenta un sistema di fondi pensione e assicurazioni private nato negli anni '90 che si affianca alle gestioni previdenziali pubbliche o private senza però sostituirle. Con l’incremento della durata della vita e il rallentamento della crescita economica, il Governo ha dovuto rivedere le regole riguardanti le pensioni alla luce delle nuove esigenze dei conti pubblici.
Nel corso degli anni, in particolare, si è assistito:
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al passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo. Nel primo caso la pensione è calcolata in base alle ultime retribuzioni percepite dai lavoratori, mentre nel secondo caso l’importo della pensione è collegato alla somma dei contributi versati in tutta la vita lavorativa, alla crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) e alla prospettiva di vita;
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alla rivalutazione della pensione, nel momento in cui è in pagamento, esclusivamente sulla base dell’inflazione, ovvero l’incremento dei prezzi di beni e servizi;
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all’innalzamento dell’età per il pensionamento e gli anni di contributi necessari per andare in pensione.
I fondi della previdenza complementare sono istituiti dagli intermediari finanziari o dalle parti sociali. Così facendo, il sistema previdenziale risulta più solido perché più idoneo a fronteggiare le possibili evoluzioni future in ambito demografico ed economico.
Per poter accedere ai benefici della previdenza complementare, è richiesta una partecipazione di almeno cinque anni. L'obiettivo di questi strumenti è quello di contrastare il progressivo impoverimento della pensione pubblica, dovuto alle riforme degli ultimi decenni. Il sistema contributivo esteso a tutti i lavoratori nel 2011, infatti, non garantisce rendite previdenziali adeguate in linea con gli ultimi stipendi percepiti dagli assicurati. Per tale ragione la previdenza complementare offre ai cittadini la possibilità di disporre di un reddito più adeguato ai loro bisogni dopo il pensionamento.
Come funziona la previdenza complementare
In Italia la previdenza complementare funziona grazie a un sistema di forme pensionistiche che hanno come finalità quella di raccogliere il risparmio previdenziale in modo che, una volta in pensione, il cittadino possa usufruire di una pensione integrativa.
Alla base della previdenza complementare si trova il cosiddetto regime della contribuzione definita. Per questo motivo, le somme che la persona riuscirà a mettere da parte per la pensione, ovvero la sua posizione individuale, dipendono da alcuni fattori:
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costi affrontati durante la partecipazione alla forma pensionistica;
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totale degli importi che sono stati versati nel tempo alla forma pensionistica complementare;
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calcolo del rendimento dell’importo versato al netto della tassazione, ottenuto con l’investimento sui mercati finanziari;
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durata del periodo di contribuzioni, in quanto più anni equivalgono a più contributi.
Quando il cittadino va in pensione, quindi, la sua posizione individuale verrà mutata in una rendita che formerà la sua pensione complementare, tendendo conto di un coefficiente che valuta la durata di vita attesa.
Quali sono le principali forme di previdenza complementare?
Esistono diverse forme di previdenza complementare:
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PIP (Piani individuali pensionistici): sono forme pensionistiche integrative di tipo assicurativo, ovvero vengono istituite dalle imprese di assicurazione e possono raccogliere adesioni soltanto su base individuale;
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Fondi pensione preesistenti: sono chiamate così perché esistenti prima del decreto legislativo che per la prima volta ha introdotto una disciplina organica del settore (DL n. 124 del 1993);
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Fondi di pensione aperti: queste forme pensionistiche complementari sono istituite da imprese di assicurazione, banche, SGR (società di gestione del risparmio) e SIM (società di intermediazione mobiliare) e possono raccogliere adesioni su base individuale e collettiva;
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Fondi di pensione negoziali: questa tipologia è istituita nell’ambito contrattazione collettiva, aziendale o nazionale. Appartengono a questa forma di previdenza complementare i fondi di pensione territoriali, ovvero i fondi istituiti mediante accordi fra i lavoratori che fanno parte di un determinato territorio e i rappresentanti di datori di lavoro.
Previdenza complementare e TFR
Il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) è la somma che il datore di lavoro paga al dipendente nel momento in cui termina il rapporto lavorativo. Se un lavoratore dipendente di un’azienda privata entra nel mercato del lavoro per la prima volta, dovrà scegliere entro sei mesi dall’assunzione se lasciare il TFR futuro in azienda o se versarlo alla previdenza complementare.
Quando un lavoratore aderisce a un fondo pensione negoziale, aperto o preesistente, il datore di lavoro dovrà versare sulla sua posizione individuale, in virtù di quanto previsto dal regolamento aziendale o dall’accordo collettivo:
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la totalità o una parte del TFR futuro;
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il contributo del dipendente, che potrà, se lo desidera, versare un importo maggiore;
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il contributo dell’azienda, se anche il lavoratore versa il suo contributo.
Se il dipendente del settore privato non esprime una scelta esplicita, il suo TFR andrà a confluire nel fondo pensione previsto dagli accordi collettivi (conferimento tacito).
Nel caso in cui fossero indicati più fondi, il TFR sarà versato nel fondo pensione a cui hanno aderito il maggior numero di dipendenti dell’azienda, salvo diversi accordi aziendali.
In caso di assenza di un fondo di riferimento, invece, il TFR maturando sarà versato dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare selezionata dalla normativa (art. 9 del D.lgs. 252/2005).
Infine, il dipendente può decidere di destinare il TFR alla previdenza complementare in un secondo momento. In questo caso, il TFR maturato resterà accantonato presso l’azienda e verrà liquidato quando avrà luogo la risoluzione del rapporto di lavoro.
Tassazione della previdenza complementare: cosa sapere
I fondi di pensione, come abbiamo detto, nascono per affiancare il sistema previdenziale nazionale e al fine di permettere ai cittadini di preservare il proprio tenore di vita anche quando vanno in pensione. Quando si aderisce alla previdenza complementare è possibile beneficiare di una tassazione agevolata in tre diverse fasi:
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Contribuzione
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Gestione
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Prestazione
Contribuzione
È possibile dedurre dal proprio reddito imponibile annuo, ovvero quello su cui si calcola l’IRPEF, i contributi che vengono versati alla forma di pensione complementare fino a un massimo di €5.164,57 all’anno. Questa cifra comprende:
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i versamenti che il lavoratore può avere effettuato a favore di un familiare che risulta fiscalmente a carico
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gli eventuali contributi versati dal datore di lavoro
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i contributi versati dal lavoratore
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i contributi aggiuntivi versati in autonomia dal lavoratore
In base agli scaglioni IRPEF si determina l’importo della deduzione fiscale:
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per redditi da 0 a 15.000 euro: 23%
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da 15.00,01 a 28.000,00 euro: 25%
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da 28.000,01 a 50.000,00 euro: 25%
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da 50.000,01 euro in poi: 43%
Gestione
È bene ricordare che a generare dei rendimenti concorre anche la posizione individuale nella fase di gestione del denaro. Rispetto ad altri tipi di investimenti, questi importi beneficiano di una tassazione vantaggiosa. I rendimenti che maturano dal fondo pensionistico, infatti, sono soggetti a un’imposta pari al 20% e non del 26% come succede nella gran parte delle forme di risparmio finanziario.
Prestazione
Al momento del pensionamento, alla somma che costituisce la pensione integrativa viene applicata un’aliquota pari al 15% che determina la ritenuta d’imposta. Se l’anzianità di adesione al fondo supera i 15 anni, questa aliquota si ridurrà poi dello 0,30% per ogni anno di partecipazione successiva, fino al limite di riduzione massimo di 6 punti percentuali. Per fare un esempio, con 35 anni di adesione e di contribuzione, l’imposta scenderà del 9%.
Welfare aziendale e previdenza complementare: quali sono i vantaggi
I dipendenti di un’azienda che mette a disposizione un piano di welfare hanno diversi vantaggi fiscali grazie ai benefit aziendali di cui possono beneficiare.
Per quanto riguarda la previdenza, i lavoratori possono infatti versare in autonomia il massimo dell’ammontare deducibile, ovvero di 5.164,57 euro, a un fondo di pensione complementare in modo da sfruttare al meglio la deducibilità prevista. In più, possono decidere di convertire anche parte di un premio di produttività in previdenza complementare.
Cosa vuol dire? Ecco un esempio: su un versamento totale di oltre 7.000 euro al fondo di pensione integrativa, un dipendente con un reddito che va dai 28.000 e i 55.000 euro lordi annui, al netto della deduzione, dovrà sostenere una spesa pari a soli 3.203 euro.
A questi 3.203 euro di versamenti volontari, infatti, si aggiungono:
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2.000 euro di retribuzione esentasse perché inclusa nel piano welfare dell’azienda
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1.961 euro che, grazie alla deducibilità dell’IRPEF, sono indirettamente a carico dello Stato
Come si può vedere, tutto ciò equivale a un netto miglioramento della prospettiva di reddito dei dipendenti - e quindi del loro benessere - nel momento in cui arriverà il momento del pensionamento.